È arrivata nella serata di ieri la sentenza della Corte d’Assise di Avellino nel processo a carico di Massimo Passariello, 44 anni, di Cervinara, accusato dell’omicidio volontario aggravato di Giuseppe Tirone, 51 anni. Per l’imputato, difeso dagli avvocati Vittorio Fucci e Domenico Cioffi, è stata disposta una condanna a sedici anni di reclusione, ben lontana dalla richiesta dell’accusa, che aveva invocato l’ergastolo.
La Corte, presieduta dal giudice Gian Piero Scarlato, ha infatti escluso l’aggravante dei futili motivi, accogliendo una delle principali linee difensive. Sono state inoltre riconosciute a Passariello le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sull’aggravante della crudeltà — aggravante comunque mantenuta ma di fatto neutralizzata, dal punto di vista sanzionatorio, proprio dalla prevalenza delle attenuanti. Una scelta che ha portato a non applicare l’aumento di pena previsto in questi casi.
Nel corso del dibattimento, le parti civili — rappresentate dagli avvocati Pierluigi Pugliese, Mario Cecere, Nicola De Maria e Stincone — avevano sollecitato una condanna severa e la piena affermazione di responsabilità dell’imputato. Il pubblico ministero, Cecilia Annecchini, aveva ricostruito l’accaduto contestando a Passariello un’esecuzione particolarmente brutale: secondo la tesi accusatoria, l’uomo avrebbe cosparso Tirone di liquido infiammabile al culmine di un litigio, per poi appiccare il fuoco e bruciarlo vivo.
Il 51enne, soccorso in condizioni disperate, fu trasferito al Cardarelli di Napoli, dove morì dieci giorni dopo tra sofferenze atroci.
Nella mattinata di oggi si sono svolte le arringhe finali della difesa, con gli avvocati Fucci e Cioffi che hanno insistito sulla non configurabilità dell’aggravante dei futili motivi e sulla personalità dell’imputato, invocando il riconoscimento delle attenuanti generiche. Argomentazioni che la Corte ha ritenuto fondate.
Con la condanna a sedici anni, ora Passariello attende il deposito delle motivazioni, che chiariranno nel dettaglio le ragioni che hanno portato a una pena sensibilmente inferiore rispetto a quella richiesta dal pubblico ministero.


